martedì 31 luglio 2012

Mezze sfere e seghe intere

Che poi quando mi ha detto che chiacchierare non è la stessa cosa che parlare, l’avrei abbracciato per manifestare empatica intesa, ma siccome è tipo che non si lascia abbracciare nemmeno con una pistola puntata alla tempia (cit.) ho scartato subito l’idea. Solo che a rispondergli per dirgli che ero d’accordo mi sembrava sbrigativo, la scelta più idonea sarebbe stata un bel silenzio annuente, per un istante mi è passata per la testa la frasetta biblica del tipo “voi guardate ma non vedete, ascoltate ma non udite”, ma non andava bene nemmeno quella che poi parevo uno che volesse fare il saccente e che non avesse colto la semplice bellezza della sua verità espressa, usandola come pretesto per chiacchierare di massimi sistemi astratti. Volevo metterla sul personale, sul significativo.
Nella testa avevo compressi tutti i discorsi e le domande ammucchiati nei mesi precedenti, ma allo stesso tempo l’indice che c’è intesa è quando troppe parole sono superflue e poche sono già tante. ma la confidenza ha i propri tempi, non accetta forzature, e probabilmente all’inizio esige un po’ di strimpellii di circostanza, perché poi si possa apprezzare il silenzio degli assoli misurati e soppesati. Quindi stavo lì, come un emisfero di Magdeburgo, e più le tensioni opposte si cimentavano nel mio cervello, più si fortificava la certezza che non ne sarei uscito vivo. Nel dubbio, fuori, dissimulavo prendendo tempo. Ma che me ne frega di parlare dei pregiudizi sugli ebrei?!?! Non sono venuto fin qua per discorrere di estranei circoncisi. Eh, beh sì, sono d’accordo con te che c’è il rischio di (smettere di) ragionare per categorie o per battaglie ideologiche. Cerco di rimediare dicendo qualcosa su Napoli, ma ho il timore di finire a parlare di faccende impersonali. Del resto sono anche assillato dall’idea di andare troppo su faccende personali, che non mi piace ficcanasare. Però se non chiedo sembra che non mi frega. Finisco col parlare di un’altra persona e concordiamo che scrive roba valida e impegnativa e che commentare i suoi pezzi non è sempre atto agevole. Solo che di ‘sto passo ora di cena diventiamo la tipica coppietta il cui rapporto è cementato sulla passione per lo stesso film, e finisce che ci relazioniamo per interposti, comuni affetti ed esperienze. Vorrei dirgli che in questo momento è oltremodo tangibile quanto dice quella persona là sulla disperata impresa di una vera e limpida comunicazione tra individui, però evito che sennò poi parliamo solo di quell’altra persona, che ora di fatto non c’è. E che non ci sia mi spiace in un certo senso. Io soffro spesso per il desiderio di far conoscere tra loro le rare persone che mi piacciono. Idea! Chiamiamola al telefono, così sarà presente in etere. Però prendo quasi con sollievo che non voglia chiamarla al telefono. Cioè a me avrebbe fatto piacere, ma almeno così non ho scuse, non ho polpette da tirare per distrarre la belva evitando di guardarla negli occhi. Che la belva mica è lui, ma il mio vizio di parare il colpo verso argomenti innocui, per non concedere il fianco a troppe stoccate d’esperienze maleducate e rozze. No, lui no. Pure se, quando sorride, se non avessi una certa idea di lui, mi inquieta un poco, con un sorriso che esplode all’improvviso, accendendosi su un’espressione seria, mostrando i denti con due occhietti luminosi da Mefistofele. Se non avessi una convinzione che mi sono fatta e alla quale mi tengo aggrappato stretto come a una ciambella, affonderei nel sospetto che stia cercando di imbonirmi per vendermi un’enciclopedia in aramaico su come costruirsi una barca nel sahara. Insomma è talmente sincero quel sorriso da sembrar falso e desueto, in un’epoca di musi lunghi e sorrisetti finti e composti. A proposito, mi sa che i miei di sorrisetti erano finti e composti, porca troia! E ci pensavo mentre lo facevo, ma temevo di risultare troppo espansivo, ma nemmeno questo in realtà. Piuttosto è che io non sono uno espansivo di mio, sono molto introverso e se cerco di essere espansivo va a finire ch sembro un manifesto fotogenico, ovvero umanamente inguardabile. Appena stava zitto mi inquietavo, mi inquietavo perché per me è perfetto uno che sta zitto, io dopo che parlo so che quasi sempre non valeva la pena parlare. Solo che se sta zitto magari devo intenderlo come un “tocca a te, passo” e se sto zitto camminando senza parlare magari pensa che mi sono già rotto i coglioni di averlo a fianco, e allora devo parlare io ma ho le idee troppo compresse, che per me solo a soppesare l’andatura, o l’abbigliamento, o la faccia, di una nuova persona posso starci giorni. Così tutto insieme è una flashiata che mi acceca. Sono d’accordo: troppa roba tutto in una volta. Per me ce n’è da stare a rimuginare per giorni interi. L’ultima cosa che mi serve è parlare, però devo parlare senno sembra che non parlo; fanculo, va a finire che dirò chiacchiere inutili. È un mezzo supplizio, cercato e voluto e piacevole. Perché mi piace ‘sto qua. Non fa niente per mostrarsi diverso da quel che è, insomma mi sembra spontaneo, trasandato quanto piace a me; e se combatte le sue battaglie interne dev’essere un veterano con le pareti imbottite dentro, perché fuori dalle mura non arriva nemmeno un’avvisaglia di schermaglia. Sembra padrone della situazione. Io punto tutto sulla cena, che se sono nervoso ho bisogno di camminare per schiarirmi i pensieri, ma se devo riflettere e parlare, vengo molto meglio da seduto. Dai, tra poco andremo a cena, e magari trovo una frequenza e un battito più congeniale a un primo incontro. Ero un po’ emozionato come a un primo appuntamento, che tra maschi è sempre così arduo dismettere la corazza e l’armatura. Per dirla con Fantozzi ero a mio agio come un cane marcio dopo una giornata di pioggia. Infatti si è messo pure a piovere. L’unica ora d’acqua in tre settimane proprio tra Campo dei Fiori e Trastevere doveva venire! Tiro fuori l’ombrello pieghevole, che ho le scarpe da corsa e se si imbevono d’acqua io mi ammalo subito e mi rovino le vacanze. Ma non glielo dico che sennò mi prende per una mammoletta. A questo punto nasce il dilemma se coprire solo me o se coprire pure lui, che invece cammina noncurante delle condizioni meteo. Decido di no, che sembra troppo invadente della sua personale nuvoletta. Si vede che gli piace l’acqua in testa. Del resto piacerebbe pure a me se non fossi in trasferta vacanziera. Che Dio creò la pioggia. Poi vide che alcuni erano frivoli e creò pure gli ombrelli. Io recito la parte imbarazzata del frivolo sotto due gocce d’acqua sotto lo sguardo severo e cupo di Giordano Bruno. Sono davvero contento di abbinare la mia prima volta in questa piazza ai piedi del grand’uomo, con il mio primo incontro con quest’altro eretico sociale. Nel frattempo raggiungo un compromesso con le mie opposte istanze interiori. Un po’ lo copro per educazione e condivisione di un riparo, un po’ lo lascio alla libertà di bagnarsi. La parte verso di me all’asciutto e l’altra all’abbagno. Punto sulla cena ma dice di no, che è venuto con i mezzi e non fa in tempo a rincasare se fa troppo tardi. Sono fottuto. Lui è il padrone di casa nella capitale, allora suggerisce un caffè in un bar, per ripararsi pure dalla pioggia. Si vede che sa il fatto suo e che conosce i posti. Infatti entra nel suo bar di fiducia, chiede un caffè e il barista gli risponde che no, che stanno per chiudere e ha già spento la macchina. Esilarante! Allora ripiega su un ace e io prendo un san bittér. Che come si fa ad andare a prendere un ace alle sette e mezza di sera? È da incoscienti; c’è il rischio che non ti servano le patatine e le arachidi. Però non glielo dico e chiacchieriamo di crisi e lavoro. Io non glielo dico perché sono timido, come tutte le altre cose che non gli dico. Mica perché mi stia antipatico. Anzi, mi sta simpatico da subito quando lo incontro sul ponte Garibaldi. Solo che io sono fatto male e il fatto di trovarmi a mio agio mi mette un poco a disagio. Cioè, se uno mi annoia sono a disagio dentro mentre fuori divento una sfinge tramando il modo migliore per sganciarmi. Anche con le ragazze va a finire così, ed è una tragedia. Se una non mi interessa divento spigliato e magari brillante. Se invece una mi piace divento impacciato e mi salvo apparendo distaccato. Se un individuo mi piace vado subito in ansia, mi scatta la sindrome da sotto esame. Voglio dare il meglio, far trapelare l’emozione positiva. Mi parte subito l’allerta di non dover deludere, di non dover dire puttanate, di non dover dire robe seriose, di non tacere pur non dovendo dire né puttanate né cose seriose, e va a finire che dentro sono squassato da un disagio, emotivamente molto positivo, ma pur sempre disagevole. E fuori va a farsi fottere pure la sfinge, che tutto ci tengo a trasmettere tranne che l’apatica flemma di una sfinge. E allora più lui mi dà indizi per sentirmi a mio agio in sua compagnia, più io mi trovo su un tracciato poco battuto, che quando le persone mi mettono a disagio per la loro bonarietà di facciata e dozzinalità d’interni, io ormai so come comportarmi. Sorrido, chiacchiero e alla prima occasione fuggo. Invece con lui è tutta un’altra sensazione, ma rischio di finire lo stesso a sorridere e anche chiacchierare troppo, che a livello di disadattamento sociale è un avversario ostico e ha giocato d’anticipo e se l’è preso lui il vantaggio di quello che parla poco e usa tante pause di silenzio. Mi mette un poco in soggezione; per me è un buon segno quanto provo soggezione, significa che c’è qualcosa di umanamente interessante. In ogni caso, a me non resta che riempire i vuoti parlando, che mica possiamo camminare in silenzio come due monaci tibetani, con dietro la corte dei miei genitori (che c’erano anche loro in vacanza con me) in basito e incredulo entusiasmo che io, asociale selvatico, volessi intenzionalmente incontrare una persona a Roma. Quindi loro a camminare a debita distanza, pure nell’angolo opposto del bancone al bar, per non rompere l’incantesimo. E io a sorridere e chiacchierare, poi però è fuggito via lui. Mi ha sedotto e abbandonato, attraversando la strada sotto la pioggia alla ricerca di un cesso per espletar pisciata. Ho surrogato l’abbraccio in una pacca sul braccio mentre gli stringevo la mano. Degno finale senza inutili fronzoli per un primo incontro. Lui a rincasare e noi tre a cenare a Trastevere.
Poi i giorni dopo tutti i pensieri compressi si sono sprigionati e ho immaginato lunghi, significativi discorsi, riandando a visionare il filmato di quell’ora trascorsa assieme. Sono stato più volte sul punto di chiamarlo o mandargli un sms, tanto per fargli sapere come procedeva la visita della città, o per proporgli di rivederci una seconda sera, con comodo. Ma ho sempre rinunciato, che avevo il timore che si sentisse in dovere di accettare per educazione, che magari aveva le sue faccende da sbrigare. Tanto più che mi ero portato dietro un libro da regalargli e gliel’avevo detto e vuoi mai che poi si precipita a comprarmi qualcosa per non presentarsi a mani vuote. E insomma l’ho pensato ogni volta che passavamo da Campo dei Fiori, ma non l’ho più visto. Troppe seghe mentali, coglione che sono. Poi mi ha chiamato lui, ma stavo già sul treno, in arrivo a Santa Maria Novella. E l’altra volta la pioggia e ‘sta volta le gallerie a rompere i coglioni, con la linea che cadeva di continuo. Allora gli ho mandato un sms, del tipo “È ufficiale. I viola non vinceranno mai niente che a Firenze non c’è campo. E non basta saper fare i tunnel per vincere le partite.” Insomma sono finito ancora a uscirne con una coglionata. Però ciò che conta è che ci siamo visti.
Sì d’accordo, d’accordo! È vero, cazzo! In quel poco tempo abbiamo chiacchierato troppo e parlato troppo poco, e i disagiati asocializzanti hanno bisogno di tempo, tanto tempo. Però, vabbeh, per arrivare a suonare l’intesa del silenzio io ho bisogno di passare in qualche modo attraverso una strombazzata.

K.

ps: è un post lungo, logorroico e astruso, ma intanto tempo fa siglai con qualcuno un’intesa di massima. L’accordo prevedeva che se il post fosse stato troppo lungo, si sarebbe stati esentati dall’investire ulteriore tempo nei commenti. Patti chiari, amicizia lunga.
Ah, a chi non ci ha ricavato né capo né coda, né quello che ci sta in mezzo, io non ci posso fare niente. Mica sto qua non pagato a dover scrivere frasi socialmente utili. Per quelle ci sono gli ideologi.

7 commenti:

  1. Bentornato.
    Doveva essere una persona speciale per te quel signore.

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    1. Ciao lillina, ora ti devi sciroppare pure me oltre i captcha. Li ho trovati in buona forma, mi hanno detto che passavi a trovarli e a fargli compagnia. Grazie ;)

      Sì, tenacemente se stesso direi. Il miglior modo per essere speciali, forse l'unico.

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  2. Un pezzo proustiano, per buongustai. E io modestamente la sono.
    (era ora che tornassi!)

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  3. ehi ciao caxxone! dove te ne stavi rintanato?
    Lo sapevo che te ne saresti uscito in lungo.
    Brauo, mai perdere di vista una certa eleganza.
    ;)
    proustiano, ma senti te!? Io avrei detto più camusiano... ma non avendo letto né l'uno né l'altro faccio fatica.

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  4. Invidio quelli che da un non fatto riescono a tirare fuori badilate di parole: m'è piaciuto.

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  5. Vacanze a Napoli, Roma e Marina di Carrara finite! Ben ritrovati.
    Dunque, mi sono preso del proustiano, dello spalatore, dello strascicatore, del logorroico ossessivo compulsivo; pure del camusiano. Per fortuna qualcuno che mi dà del caxxone esiste ancora.

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