I fenomeni stanno là, in potenza. Sta a noi volere o potere attivarli, con l'apprendimento e l'esperienza. Può valere per la guida di un autocarro, per la tessitura di un tappeto, per la preparazione di una pozione. Ognuno di noi è in grado di percepire
differenti livelli di conoscenza o comprensione, a volte sovraccaricando di
importanza alcuni fatti, altre volte sottostimandoli. Quasi mai riuscendo a
metterli a fuoco, poiché, come il mescalito,
racchiudono in sé una precisa essenza (o evanescenza) che potenzialmente si
offre alla comprensione, ma di fatto solo parzialmente riusciamo a maneggiare.
Questa approssimazione vale sia per i fenomeni legati alle
leggi della fisica della cognizione ordinaria, sia per quelli legati all’esperienza
non ordinaria. Con quest’ultima poi, la stragrande maggioranza di noi non ha
alcun approccio o esperienza, da qui l’arcano mistero. E poco importa se dietro quel mistero ci sia della seria realtà per uno sciamano visionario o delle scettiche fantasie per un civilizzato aristotelico. Qualunque siano gli occhi che guardano, occorre innanzitutto investire del tempo consapevole per scrutare in quella esperienza.
Ciò che rende attraente la figura dello sciamano don Juan è
la naturalezza con la quale conduce il giovane Carlos nell’apprendimento delle
formule e dei rituali di potere, un tirocinio che trova il culmine nelle esperienze
extraordinarie che, nel mondo della realtà non ordinaria, accadono o non
accadono con una stringente logica altra
né inferiore né superiore a quella ordinaria, semplicemente differente e,
volendo, integrativa e sinergica.
Stupisce la concretezza – che a un occhio occidentale può
fin suscitare un delicato umorismo – con la quale lo sciamano rivela il proprio
sapere, la propria esperienza di una vita, come farebbe un artigiano, senza
alcuna velleità di esaltazione o effetti speciali.
Disse che imparare
attraverso una conversazione non solo era una perdita di tempo, ma anche un’idiozia,
dal momento che imparare è uno dei compiti più difficili che l’uomo possa intraprendere.
Don Juan non ha simpatia per gli approcci “filosofici”, per la dialettica che nutre se stessa. Certo,
l’uso della parola per comunicare è importante, ma sempre e soltanto se è
radicata nell’esperienza cui fa riferimento. Insomma, se don Juan parlasse dell’aria
fritta, significherebbe che ha sperimentato sensorialmente l’aria fritta. Nella sua didattica
non c’è spazio per l’uso di metafore o allegorie, essendo le manifestazioni
della realtà non ordinaria già stracolme di quelle concrete visioni, in grado di uccidere nel fisico, che noi
sperimentiamo soltanto a parole, in forma di innocue figure retoriche.
Capita così che la pacatezza di don Juan ceda allo
sbigottimento solo di fronte alle interpretazioni metafisiche e divine, con le
quali Carlos cerca ingenuamente di interpretare i fenomeni che sperimenta di
persona. Solo in quei casi lo sciamano perde bonariamente le staffe col giovane
tirocinante, andandolo a riprendere nei suoi voli di fantasia, per ancorarlo
alla semplicità del fatto energetico; tale è anche il volo appena compiuto, senza
bisogno di trasfigurarne il significato.
Don Juan, il mescalito
è Dio?
Adesso stai dicendo
delle sciocchezze. Non so dove sia Dio.
Come tutte le letture caratterizzate da una complessità di
valore, non solo è impossibile, ma direi inutile cercare di spiegarla. Chi
vuole può sempre leggere il testo, nato come documentazione appena romanzata per una tesi di laurea in antropologia.
Che si dia credito o meno a questi fenomeni di un altro
piano di realtà, emerge in ogni caso un insegnamento del vecchio sciamano che può essere
proficuo a ogni livello di vita, in ogni esperienza che dobbiamo affrontare, in
ogni viaggio da intraprendere.
È di una semplicità disarmante, magari perché le mosse
migliori disarmano facilmente.
Prima la sintetizzo, ricopiando l’incipit scelto da
Castaneda a introduzione del suo libro.
Per me c’è solo il
viaggio su strade che hanno
un cuore, qualsiasi
strada abbia un cuore.
Là io viaggio, e l’unica
sfida che
valga è attraversarla
in tutta la sua lunghezza.
Là io viaggio
guardando, guardando, senza fiato.
[don Juan]
Poi, avendo trovato un video su youtube, lascio alla voce
narrante, sebbene un poco smosciante, la lettura della pagina.
Centrarsi sull'intelligenza del cuore prima di muovere i nostri passi, renderebbe forte e meno incerto l'operato dell'intelligenza del cervello. Non ci sarebbe nessuna interferenza, come non dovrebbe essercene tra il buon senso e il senso logico.
Di questo fatto sono radicalmente convinto, per perseverata esperienza diretta nel piano della realtà negativa.
Ovvero recando in me i tangibili e devastanti fatti sbagliati, frutto delle innumerevole impronte lasciate sul selciato lontano dal cuore mio.
Frutti talmente amari che, a confronto, il peyote sa di meringa.
K.
Proprio bello. Sia il libro che il post.
RispondiEliminaLa citazione finale campeggia nella mia stanza, sulla parete, sopra il monitor.
E' il punto in cui guardo più frequentemente, dopo il frigorifero.