sabato 13 aprile 2013

Istanti di felicità rubati all'eternità

“Un centesimo di secondo qui, un altro là, sommati insieme non saranno che due o tre secondi rubati all’eternità.”
[Robert Doisneau]

Le baiser blotto



*** 

“Io non penso che la miseria sia più profonda della felicità.”
[Saul Leiter]

Mi imbattei in questa frase del fotografo statunitense, visitando mesi addietro una mostra a lui dedicata. Mi piacque (la frase, più delle foto) e la interpretai secondo quel personale vocabolario che ognuno porta dentro di sé, quel dizionario bilingue che traduce ogni elemento del mondo nella intima necessità che ogni umana esistenza ha, di attribuire significato peculiare, solo a sé comprensibile, intraducibile per l’osservatore esterno.

La felicità è quella rara sostanza che, calata dentro di me, e nelle stanze segrete gelosamente custodita, sa rivelarsi, nei momenti di lacerante avversità, unico appiglio per non annegare nel pozzo nero. In quei momenti, chiudevo gli occhi e immagini di felicità emergevano come tremule carezze di sollievo dal mio passato. Mi ci attaccavo con disperato sollievo.

Sandrine Bonnaire



Anche in una vasta eterna landa di miseria, sono i momenti di felicità la ciambella che ci salva, che ci tiene a galla, proprio chiudendo gli occhi, proprio nel buio silenzioso della notte. Per quanto tanto tempo assente, fino al punto di diventare una chimera d’estraneità, mi rendo conto che la felicità è stata, nei momenti quasi del tutto snaturanti, la mia copertina di linus. Una copertina che, ormai consapevole della sua preziosità, porto con me, riposta per benino dentro il cuore e che, quando il dolore dovesse tornare ad azzannare, posso riafferrare per un lembo, a occhi chiusi.

La vetrine de Romi

La parola “miseria” il mio vocabolario la tradusse all’istante con “dolore”, l’unica miseria umana della quale abbia personale esperienza. E per quel che riguarda la miseria materiale, ovvero la povertà e la mancanza di mezzi di sostentamento, soltanto uno stolto o chi nella felice ricchezza è sempre vissuto può ammantarle di preferibile, auspicabile, romantica profondità d’esperienza.

Dolore e povertà hanno in comune, del resto, l’ineluttabilità dell’esperienza stessa. Ci capitano, ci vengono appioppati o ci vengono a cercare, nostro malgrado. In questo dolore subito nostro malgrado- ne sono altrettanto certo di una certezza che è squisitamente, unicamente mia, nel linguaggio del mio dizionario che ha cominciato a incidersi sulle pareti interiori dell’io fin dai tempi ancestrali dell’infanzia, intraducibile ad altri – riconosco un merito peculiare. Il dolore, con l’infelicità che lo contraddistingue, compie nell’animo un lento e silenzioso lavorio di scavo. Letteralmente, il dolore scava l’anima e, quando non ne buca le pareti, la rende in grado di contenere maggiormente. Il dolore aumenta la capacità di comprendere e sentire.

Non è un’opera di scavo di cui andare fieri, ma tant’è, accade nostro malgrado, a cuore aperto e senza anestesia; tanto più accade, tanto più il materiale scavato sia potenzialmente plasmabile dal sentimento, anziché inerte e refrattario alle sollecitazioni della vita.

Penso che anche poche gocce di felicità, minuziosamente stillate con estrema cura, possano sostenere le più buie traversate dentro vastità di oceani di tristezza.

Penso però che, senza lo scalpellino dell’infelicità, un umano potrebbe anche essere sommerso da oceani di felicità, ma non avrebbe nessun recipiente al proprio interno per trattenere, non dico secchiate, ma nemmeno quelle poche gocce di felicità, indispensabili per esistere, a occhi aperti, dentro le peggiori ondate di avversità.

Tornando alla frase di Saul:
Io penso che non esista alcun rischio di interferenza di "profondità" tra miseria e felicità: la miseria scava la profondità, la felicità ne arricchisce l'esperienza contenuta, riuscendo a darle un senso e salvandoci dal totale smarrimento.

“Il mondo che cercavo di mostrare era quello in cui mi sarei trovato bene, abitato da persone cordiali e colme della tenerezza che bramo. Le mie foto costituiscono una prova della possibile esistenza di questo mondo.”
[R.D.]

Les tabliers de la rue de Rivoli

“Certi giorni basta il semplice fatto di esistere per essere felici. Ci si sente leggeri leggeri, ci si sente talmente ricchi che vien voglia di condividere con qualcuno una gioia troppo grande. Il ricordo di quei momenti è il mio bene più prezioso. Forse perché sono così rari.”
[R. D.]


K. é_è

Le fotografie di Robert Doisneau mi sono piaciute molto (e pure le frasi che ho ricopiate a penna sopra il volantino adibito a blocknotes). Sono ancora esposte allo Spazio Oberdan, nella mostra Robert Doisneau - Paris en liberté, che raccoglie gli scatti più felici e divertiti in una Parigi appena liberata dagli orrori della seconda guerra mondiale.

2 commenti:

  1. Non lo so come sia, ma di questi tempi anche dalle mie parti si sono affrontati discorsi simili. Sarà che siamo uomini. Nient'altro.
    Tutto molto bello signorino. Tutto.

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    1. Sarà che siamo fatti, gira e rigira, di pochi ingredienti fondamentali. Tutto il resto è guarnizione di cosmesi periferica, che appaga soltanto il nostro bisogno di cullarci in un individualismo d'artistica irripetibilità.
      Per dire: a me piace la pizza e stasera me la sono rimagnata come l'altro ieri, perché alla vigilia di Milan Napoli è d'obbligo il pizzone propiziatorio con birrozza. Stasera pomodoro olive e mozzarella. Poi, se uno si vuol sentire più originale mangiandola con asparagi, crema di tartufo e zabaione, facesse pure. Gira e rigira, sotto sotto, sempre pizza è. Come per gli umani, se si difetta nei pochi elementi fondamentali, le guarnizioni non apportano nulla di buono.
      (sarei potuto essere più breve, ma con te voglio essere spudoratamente, irrimediabilmente kisciottesco)

      Come sempre graditissimi sono visita ed eventuale apprezzamento del mio Mastro Birraio preferito nel primo dì di festa ;)

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