La ripetizione della
noia è una condanna strisciante e soporifera. Significa andare a letto la sera con l’ansia dell’indomani,
nell’attesa di dover ripetere gli stessi gesti, gli stessi incontri, le stesse
tedianti faccende.
La noia della
ripetizione, invece, è un’espressione ambigua. A meno che non sottintenda la noia di dover ripetere la noia, la ripetizione non è noiosa in sé. Anzi,
dipendendo l’effetto prodotto nell’animo dall’elemento ripetuto, la ripetizione contiene invece, a mio
avviso, la chiave segreta di una realizzabile felicità; o comunque un tendervi
approssimandovisi moltissimo, quasi a sfiorarla.
Riconosco al concetto di felicità
una dimensione d’assoluto, la quale, anche riscattata da chimere trascendenti,
rimane tuttavia difficile da realizzare anche nell’ambito dell’esistere
immanente, l’unico esistere al quale io riconosca certo sapore d’umana
eccitazione. Lascio a chi ambisce ad ascensori divini, a chi rifiuta la realtà
del cesso nel sottoscala, a chi si illude che l’attico celeste sia più
tangibile e reale del quotidiano, umano tribolare, l’illusione della Felicità.
Per me, la ripetizione
della felicità, umana, mortale e a termine, significa svegliarsi al
mattino, con l’impazienza di cavarsi dal letto, nell’aspettativa di ripetere i
pochi gesti graditi, incrociare selezionati sguardi di pochi umani eleganti, rifare
quelle dimesse faccende che, lungi dal tediare, corroborano di serena
consuetudine.
Ritenendo la Felicità altrove ipocrita oltre che umanamente
stupida, conscio che già la felicità piccina è difficile da afferrare e
trattenere, almeno un metodo efficace, per goderne i rari momenti d’incantevole
contatto, consiste nell’assaporare consapevolmente la ripetizione di piccole quotidiane abitudini (che chi non le possiede
potrebbe perfino definire “agognati
lussuosi vizi”).
Lungi da me l’idea che la moderazione sia via che conduce
alla felicità. Lascio a tutte le vergognose sette dei fanatici e degli ambiziosi,
di coloro che vestono i bambini con le bandiere adulte delle loro follie
omicide, dei Felici all’Altromondo il
bearsi di volti ieratici in estasi da barbiturici religiosi.
Tengo per me la consapevole certezza che ogni ambizione di
felicità in questa vita princìpi, prima ancora che passare, dall’intenzionale
scelta a non bramare l’accumulo di snervanti e inutili novità a prescindere,
preferendo di gran lunga selezionare
significativi, emozionanti ripetizioni di personale, intimo, quotidiano,
ordinario appagamento, in eremitico esistere o, magari, in raro connubio
d’amicizia.
Davvero triste è doversi
ripetere nella noia che annulla ferocemente, che corrode l’anima
implacabilmente, fino a mostrarne i tendini bianchi ed esposti alle intemperie del Nulla, giorno dopo
giorno, stagione dopo stagione.
Davvero felice è potersi
ripetere, di giorno in giorno, passeggiando lungo un collaudato sentiero di
piccoli ciottoli di gioia in gemme. Sempre pronti ad avventurarsi nel fitto del
bosco, alla scoperta del nuovo, ma senza mai obnubilare l’emozionante certezza
che è in quel consueto sentiero tracciato nel sottobosco che dimora la linea della
felicità.
Una piccola stradina di felicità che, se dura il tempo che
ci è concesso respirare in quanto unità carbonio che pompano sangue caldo
ossigenato al cervello e ai tessuti, non è poi così piccina, non è proprio così mortale, non è affatto limitata,
se non quanto lo siamo noi. E per la durata di un'esistenza, l'unica che ci è concessa vivere, diventa più che maiuscola.
Quindi, per quel che mi riguarda, considero tale ripetizione
di felicità, la Felicità, l’unica umanamente e personalmente possibile.
Per me è tuttora un inarrivabile agognato lussuoso vizio, che vorrei tanto poter dire di ripetere fino
mai alla noia. A ogni risveglio.
K.
Se l'"agognato lussuoso vizio" nel suo ripetersi venisse a noia?
RispondiEliminaMa se si continua a percorrere l'antico sentiero non dimenticando che li dimora la felicità non è che il nuovo rischia di esser preso sottogamba?
A domande rispondo! :)
EliminaSe venisse a un certo punto a noia, pur essendo stato fino all'istante prima una piacevole, quotidiana dose di benessere, significa che ha esaurito il proprio contenuto, la fibra di piacere è esausta. Senza ansie e con tranquillità, si comincia a privilegiare altri percorsi, magari già adocchiati negli ultimi tempi, avvertendo un presentimento. In ogni caso non è mai così inevitabile doversi fare strada tra chissà quale intrico di mangrovie. Se si riesce a coglierla una prima volta, la chiave verso la serenità si rivela spesso un passpartout per altri cancelli, altre stradine. Io, per ora, non ne sono mai entrato in possesso, se non per scampoli fugaci; troppo poco per tracciare un sentierino tutto mio.
Direi che proprio la consapevolezza che porta ad apprezzare ogni giorno un antico sentiero, riduca il rischio di non saper cogliere e valutare i segni di altri itinerari di piacevole esperienza. Il rischio invece di essere indolenti - con atto di coscienza più o meno scaltro - e non voler intraprendere nuovi percorsi, penso sia concreto. L'umano, a mio parere, tende all'abitudine, specialmente quando procura benessere. C'è sì, mi sa, il rischio di "sedersi" sulla stessa piacevole abitudine. Ma chi non possiede nemmeno quella, lo correrebbe volentieri. Pure io.
(Mi fermo che mi sento Osho, vado a riprendere contatto con la realtà gufando i gobbi: almeno questa buona abitudine voglio preservarla)
Già il fatto che vai a gufare è sintomo che di Osho ancora non hai che l'unghia del mignolo.
EliminaGuarda la risposta che hai dato al mio commento è migliore dell'intero post, sarà che hai sintetizzato e parlato con la pancia invece di perderti in discorsi arzigogolati....
ok sto buona (per ora mi sa che pareggiano se perdono ritorno )
ehm....concordo!!!
RispondiEliminagià svegliarsi e' una conquista ( per alcuni)
ciao
già
Eliminaciao
vabbè volevo dire che il lussuoso vizio potrebbe diventare noia e poi altro ma avete già fatto tutto voi.
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